mercoledì 24 febbraio 2010

VALERIO CARRUBA






Il processo pittorico di Valerio Carruba consiste nel dipingere ogni quadro due volte: dopo aver dipinto, secondo i canoni della pittura classica, con realismo e vigoria pittorica, un’immagine scelta innanzitutto per l’intrico di forme e materiali e dunque di pennellate che presenta, vi sovrappone una seconda versione della stessa immagine, replicando in maniera quasi automatica e distaccata la sua stessa precedente azione artistica. Così facendo, crea un fantasma. L’ambiguità nel lavoro di Carrubba sta nel decidere quale delle due stesure sia il fantasma. Perché quella che non vediamo non è una bozza, non è uno schizzo, non è una preparazione, ma una versione più pittorica, più finita: quello che uno spettatore ingenuo, o “borghese”, o comunque abituato alla pittura classica potrebbe definire, se mai lo vedesse, il “quadro vero”. Ed è proprio la morte del “quadro vero”, ovvero sommamente, irrimediabilmente, ritualmente falso che Carrubba celebra; dipingendolo e poi, nella quiete del suo studio, uccidendolo e mostrandocene l’ectoplasma. Naturalmente, questa produzione di “pitture, le quali contraddicessero la propria verità e non ponessero più alcuna questione riguardo all’aspetto finale”, questa “urgenza di contestare il visivo”, questa poetica del “niente da vedere” (sono tutte parole di Carrubba) genera una massa indistricabile di altre ambiguità, di contraddizioni e addirittura di fraintendimenti (benché il celebrare l’impotenza del linguaggio dovrebbe svuotare di significato l’idea stessa del fraintendimento).La più clamorosa di tali contraddizioni mi sembra il romanticismo insito in questa disgregazione di una concezione romantica dell’arte. Carrubba non si sottrae a queste contraddizioni e non le combatte. Le cavalca e le spinge all’estremo, portandole a una proliferazione quasi caotica che ne induce l’esplosione. E dunque, nel “denunciare l’impossibilità del linguaggio”, dipinge immagini melodrammatiche e quasi narrative; nel decretare l’inutilità della tecnica, si dedica ad alti virtuosismi pittorici. Soprattutto, nel rappresentare il “deserto della visione” (attività già di per sé contraddittoria), ricorre a un gioco di rimandi metaforici: le sue figure, impossibili cadaveri viventi, mostrano ciò che sta dentro di loro, laddove la superficie dell’opera cela ciò che sta dietro; il pathos sui loro volti è quello dei santini, dei Sacri Cuori o delle figure anatomiche della Specola, ma è anche quello dell’artista che simula e disgrega se stesso.
Luigi Spagnol





You might have thought that it’s all pretty much said and done about surrealism or hyper realism, as some call it, after Salvador Dali, but here comes this painter from Milan, Valerio Carruba who will prove you wrong. He has an unique technique of painting. Some of his works are painted twice; one brushstroke lying on top of the other. This double painting emphasizes the colors and repeats the form in order not to describe them but almost to deny them. There is no one who can look at these images of man cutting himself and displaying his interior organs without feeling anxiety. Valerio Carruba’s work is Absolutely stunning and disturbing. I love it!

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